Connessione a banda larga? I giovani sono disposti a pagarla di più 

Il 72% dei giovani tra i 18 e i 24 anni sarebbe disposto a pagare di più per una connessione internet con prestazioni migliori, e tra questi il 35% sarebbe addirittura disposto a spendere 20 euro in più. Inoltre, l’87% dei giovani intervistati desidera una connessione più sostenibile e sarebbe disposto a pagarne il prezzo. Tuttavia, i genitori tra i 45 e i 54 anni mostrano una diversa prospettiva: solo il 52% di loro sarebbe disposto a pagare di più per una connessione performante, mentre il 65% sarebbe disposto a pagarne di più per una connessione con minor impatto di CO2.

Cosa succede in Italia e in Europa

Questi sono solo alcuni dei risultati emersi dalla ricerca Cisco Broadband Survey, che ha confrontato il livello di soddisfazione, le abitudini e le esigenze dei consumatori di 12 paesi dell’area EMEA, tra cui l’Italia, riguardo alla connessione internet a banda larga domestica. Nel campione nazionale, il 56% ha una connessione fissa (31% in fibra, 24% ancora ADSL), il 37% ha una connessione mobile anche a casa (tramite dispositivo mobile, router/hub 4 o 5G, hotspot mobile utilizzato con PC), e il resto utilizza connessioni via satellite o altre tecnologie.

Performance e sostenibilità

Nonostante l’aumento dei costi della vita abbia colpito principalmente i giovani, con il 33% dei 18-24 anni che dichiara di non potersi permettere di passare a una connessione a banda larga con migliori prestazioni rispetto al 17% della fascia 45-54 anni, sono proprio i giovani che si dichiarano disposti a spendere di più per ottenere performance e sostenibilità. Tuttavia, la fascia 18-24 e 25-34 anni è anche quella più indecisa riguardo alla possibilità di cambiare connessione, principalmente a causa delle esperienze negative avute in passato. Nonostante ciò, i giovani hanno comunque l’intenzione di migliorare la loro connettività. Il 27% dei giovani tra i 18 e i 24 anni, rispetto al 15% della fascia 45-54 anni, dichiara che questa incertezza dipende dalle delusioni avute in passato. Nonostante i dubbi, il 35% dei giovani vorrebbe passare a un servizio migliore per la connessione domestica entro i prossimi 12 mesi, qualche punto percentuale in più rispetto alla fascia 45-54 anni che si ferma al 27%.

Cosa si chiede alla rete? Velocità e affidabilità

Anche i motivi per cui gli utenti desiderano aggiornare la connessione internet domestica sono diversi. Mentre per tutte le fasce d’età maggior velocità e affidabilità sono tra i primi tre motivi citati, per i giovani la sicurezza è meno prioritaria (citata solo dal 13% del campione 18-24 anni, rispetto al 44% della fascia 45-54 anni). Al terzo posto per i giovani si trova la notorietà del brand del fornitore di servizi internet. Inoltre, la ricerca Cisco Broadband Survey rivela che i giovani dichiarano di perdere in media quasi mezz’ora al giorno (29 minuti) aspettando il caricamento di una pagina o di un servizio di streaming, più dei 22 minuti considerati nella media nazionale.
Mentre i più anziani utilizzano principalmente la connessione domestica per una varietà di azioni quotidiane, come navigare per interessi personali, informarsi, fare acquisti, operazioni bancarie online, i giovani si affidano principalmente all’utilizzo immediato del mobile per le loro esigenze. Ciò differisce non solo dai loro genitori, ma anche dai loro “fratelli maggiori” tra i 25 e i 34 anni.

Età diverse, usi diversi del web

In conclusione, il 49% della fascia 18-24 anni utilizza la connessione domestica per lo shopping e l’informazione, rispetto al 65% dai 24 anni in su e al 75% della fascia 45-54 anni. Lo stesso trend si osserva per servizi e necessità come l’acquisto di biglietti o operazioni bancarie, per le quali il 50% dei giovani si affida alla connessione domestica, rispetto al 74% dei genitori.

Quattro generazioni a confronto su presente e futuro

Oggi, nonni, genitori, figli e nipoti sono accomunati da un forte senso di incertezza, in misura maggiore dai 25 anni in su, meno i GenZ, Molto preoccupati per l’attuale instabilità economica e sociale, i timori emergono ancora di più quando si parla delle ripercussioni future dell’attuale situazione generale. Posizione condivisa da tutte le generazioni, ma più marcata tra GenZ e Boomers.
Tra i temi prioritari, per tutte le generazioni al primo posto c’è il costo della vita (63%), al secondo il sistema sanitario (57%), poi ambiente, società e governance (56%). Emerge da uno studio realizzato da Bva Doxa per Invesco, che ha coinvolto quattro generazioni, Boomers (56-67 anni), GenerazioneX (35-55 anni), Millennials (25-34 anni) e GenZ (18-24 anni) per metterle a confronto sui temi chiave del presente e del futuro.

Salute e reddito ai primi posti per tutti

Nella classifica di quanto ritenuto più importante, la salute è al primo posto per tutte le generazioni, seguita dall’avere un reddito sufficiente per le proprie esigenze (GenX e Boomers) e dall’equilibrio tra vita professionale e privata (Millennials e GenZ). La sostenibilità rimane per tutti un valore importante. Che il futuro del pianeta dipenda da scelte sostenibili, nessuno lo nega. Tutti d’accordo che intervenire sarà vitale, ma serpeggiano demotivazione e disillusione, in quanto i comportamenti del singolo vengono percepiti come insufficienti. Il compito spetta ai ‘massimi sistemi’: Governi, industrie, la Legge. Solo la GenZ vuole essere coprotagonista.

GenZ più soddisfatti di società e istituzioni

Le istituzioni in genere non godono di grande stima da parte degli intervistati, che considerano famiglia e amici molto più importanti e appaganti, mentre il maggiore scontento si registra verso lavoro/studio, la società, il ruolo delle aziende private e lo Stato italiano, all’ultimo posto.
A sorpresa, i più soddisfatti di società/istituzioni sono i GenZ. La mancanza di fiducia coinvolge anche le istituzioni finanziarie. La materia finanziaria resta lacunosa, distante e acuisce il senso di smarrimento, facendo sentire gli intervistati indecisi, vulnerabili e fragili.

Rinuncia per i Boomers è ormai una parola svuotata

Ma qual è il legame tra presente e futuro? I concetti di oggi e domani sono strettamente correlati: allo standard di vita presente non si vuole rinunciare, e quello che un tempo era ‘superfluo’ ora è parte integrante della quotidianità. L’idea di sacrificio e rinuncia quasi scompare dal vocabolario, anche per i genitori. E per i Boomers è ormai una parola antica e svuotata. Il futuro è fatto di obiettivi definiti e non troppo lontani e viene identificato nel breve termine (7 anni). Per quanto riguarda il progresso e la dimensione digitale, l’atteggiamento di tutte le generazioni è aperto, senza particolari resistenze ideologiche. In particolare, apprezzano l’Intelligenza artificiale, ma si dimostrano ancora incerte sul Metaverso.

Lavori estivi: servono altri 100mila dipendenti

Se il 36% delle imprese del commercio e turismo quest’anno segnala di avere avuto difficoltà a reperire personale, tali difficoltà in molti casi non sono state ancora superate, e rischiano di causare un ‘buco’ nella stagione estiva ormai alle porte, per la quale saranno necessari fino a 100mila lavoratori in più. A stimarlo è Confesercenti, sulla base di un sondaggio somministrato con Swg alle imprese dei comparti commercio e turismo in occasione delle celebrazioni del primo maggio. A frenare il lavoro nei due comparti è anche la carenza di candidati, fattore indicato dal 28% delle attività con difficoltà di reperimento. Una carenza che il 61% delle imprese attribuisce alla visione della stagionalità come precarietà. 

I giovani non vogliono impegnarsi nei giorni festivi?

Ma è soprattutto sui giovani che pesa l’impegno lavorativo nei giorni festivi e prefestivi (60%), unita all’idea che nel commercio e nel turismo ci sia poca possibilità di crescita professionale ed economica (55%). A rendere difficile il reperimento di addetti, però, è soprattutto il mismatch, ovvero il disallineamento tra offerta e domanda di lavoro. Quasi un’impresa con problemi di personale su due (46%) indica infatti come impedimento principale proprio la mancanza di candidati con una preparazione adeguata. Fattore minore, invece, è quello economico: solo il 19% segnala di non aver assunto perché non si è trovato l’accordo sui compensi.

La carenza di personale nel commercio e turismo è un problema stringente

Nonostante questo, per superare i problemi il 43% delle imprese ha fatto leva proprio sull’offerta economica, sotto forma di incentivo (27%) o retribuzione maggiore rispetto al Ccnl di riferimento (16%). E se il 19% si è rivolto a un’agenzia di lavoro privata, il 31% non è riuscito comunque a trovare gli addetti necessari, e per far fronte alla carenza progetta di tagliere i servizi offerti ai clienti.
“Il problema della carenza di personale nel commercio e nel turismo è sempre più stringente – sottolinea Confesercenti -. Per risolverlo, bisogna garantire maggiore flessibilità contrattuale e rafforzare le politiche attive e per la formazione. Se confermate, le misure previste dal dl lavoro, su cui abbiamo apprezzato il confronto con le associazioni condotto dal Governo, vanno nella giusta direzione”’.

Le proposte di Confesercenti

Bene quindi il taglio del cuneo fiscale, ma secondo l’associazione “’sarebbe opportuno detassare anche i futuri aumenti contrattuali riferiti ai Ccnl comparativamente più rappresentativi, anche in considerazione del fatto che sono aperti i tavoli negoziali dei Ccnl di terziario e turismo che impattano su più di 8 milioni di lavoratori. Da reintrodurre anche i voucher, e in forma semplificata rispetto al passato, il job sharing, eliminando inoltre il tetto di ore minime che molti Ccnl ancora impongono per il part time. Per gli stagionali del turismo, riporta Adnkronos, servirebbe un decreto ad hoc, con misure come il credito d’imposta alle imprese per sostenere vitto e alloggio degli stagionali e favorire così la mobilità interregionale”.

Passaggio generazionale in azienda, cosa non funziona in Italia?

Nei prossimi decenni, in un futuro ormai molto vicino, in Italia il numero dei pensionati supererà quello dei lavoratori. A scattare la fotografia dell’evoluzione del nostro Paese sono Unioncamere con Infocamere, che hanno esaminato i dati attuali e previsto la loro evoluzione.

Le imprese invecchiano

Di pari passo con l’andamento demografico del nostro Paese, con l’età media che si alza di anno in anno, anche le aziende invecchiano. In dieci anni, dal 2012 al 2022, i giovani under 30 con cariche di governance nelle aziende si sono ridotti di 130 mila unità mentre gli over 70 sono cresciuti di 280 mila.Nell’ultimo decennio, i titolari di impresa tra i 18-29 anni sono calati del 22,9% e come fa notare lo studio, questi numeri si spiegano con “l’effetto statistico della demografia negativa in una misura che può essere stimata al 20%, le coorti si riducono, le persone passano nelle classi di età superiori e non vengono rimpiazzate da nuovi ingressi”.

Pericolo di estinzione?

Di questo passo, è evidente che il sistema imprenditoriale italiano, da sempre la spina dorsale dell’economia del Paese, è destinato ad estinguersi. Ed è altrettanto chiaro che, per la sopravvivenza dell’imprenditorialità tricolore, serva l’immissione di nuove risorse umane a oggi assenti. A livello geografico, la situazione – l’invecchiamento delle imprese – non è proprio omogenea. Alcune regioni italiani sembrano soffrire maggiormente la penuria di nuovi giovani imprenditori: negli ultimi dieci anni, lo stock di imprese giovanili nelle Marche fa segnare -31,7%, -29,8% in Abruzzo, -29% in Toscana e -26,7% in Molise.

Aziende troppo senior e senza re-skilling

Se ci si sposta sulla fascia over 50, c’è stato invece un vero e proprio boom: dal 2012 al 2022, quasi tutte le cariche (titolare, amministratore, dirigente tecnico) crescono tra il 15 e il 25%. In termini assoluti ci sono in più 188 mila titolari di impresa, 365 mila amministratori e 65 mila dirigenti tecnici, guidati da over 50. Alla luce di questi numeri, riferisce Adnkronos, è evidente come l’effetto demografico sta portando le imprese italiane verso un’obsolescenza umana ma anche e soprattutto di competenze. Il re-skilling e l’age management in azienda non viene affrontato seriamente pur in presenza di organici non più giovani. Come rilevato da una ricerca condotta da Fondazione Sodalitas, AIDP (Associazione Italiana per la Direzione del Personale) e Università Cattolica del Sacro Cuore, 1 azienda su 4 si occupa di age management in modo sistematico. Solo il 14% delle imprese implementa percorsi di mobilità interna o di sviluppo di carriera per i propri dipendenti senior.

Le previsioni per il 2023 nel mondo del lavoro

Pandemia, necessità di organizzarsi diversamente, e innovazioni tecnologiche hanno accelerato tendenze che se in alcuni paesi erano già consolidate in Italia stentavano a decollare. Ma secondo Jabra nel 2023 l’ambiente professionale sarà ancora molto simile a quello del 2022, con le aziende che perfezioneranno ulteriormente l’approccio al lavoro ibrido. Nonostante il clamore sul metaverso, e i cambiamenti nel modo di lavorare, la tecnologia per spostare il posto di lavoro in un ambiente virtuale immersivo è ancora lontana.  E se il periodo delle grandi dimissioni è stato superato, la tendenza ad abbandonare il posto di lavoro è destinata a stabilizzarsi, ma non a scomparire.

Benefit digitali: corsi online e abbonamenti ad app per la salute mentale

Per invertire questa tendenza i leader devono mostrare maggiore riconoscimento per le sfide finanziarie che stanno affrontando i dipendenti e il ruolo mutevole che sta assumendo il lavoro nella vita delle persone. Nel 2023, quindi, i lavoratori assisteranno all’aumento dei benefici digitali per la loro attività. Uno studio di Microsoft rileva che il 76% dei dipendenti resterebbe più a lungo in un’azienda se potesse beneficiare di un maggiore supporto all’apprendimento e lo sviluppo. Nel 2023 le aziende integreranno quindi più diffusamente benefici digitali quali corsi online, abbonamenti ad app per la salute mentale e tecnologie di collaborazione professionale. Inoltre, secondo il Jabra Hybrid Ways of Working 2022 Global Report, dall’inizio della pandemia circa la metà delle imprese a livello globale ha riconfigurato i propri uffici.

Da spazi di lavoro basati sui compiti a spazi basati sull’interazione

Nel 2023 si assisterà al passaggio da spazi di lavoro ‘basati sui compiti’ a quelli ‘basati sull’interazione’. Ciò significa ridurre l’ingombro degli immobili a favore di uffici più concentrati e costruiti ad hoc, con una tecnologia che consenta alle persone di sperimentare interazioni autentiche con i colleghi, anche quelli che non sono presenti in ufficio. I leader però dovranno affrontare l’impatto sui dipendenti dell’incertezza macroeconomica. L’incombere della recessione e il rallentamento della domanda preoccupa le aziende, ma queste devono anche considerare il peso dell’incertezza macroeconomica sulla salute mentale dei dipendenti.
Se le aziende vogliono superare la tempesta, devono adottare misure proattive per sostenere i dipendenti in questo periodo incerto.

Fidelizzazione, formazione, benessere, e nuove tecnologie per l’ambiente ibrido

La pandemia ha portato a rapidi cambiamenti nelle modalità di lavoro, ma per molte imprese la presenza di call center ibridi o flessibili sta diventando una caratteristica permanente. Amazon, ad esempio, sta riconfigurando i suoi call center da remoto al 100%. Allo stesso tempo, i call center non sono stati immuni dall’impatto delle grandi dimissioni, che combinato a una potenziale recessione hanno creato una tempesta perfetta per i leader. Nel 2023, riferisce Askanews, si si può quindi aspettare che le aziende si concentrino maggiormente sulla fidelizzazione, la formazione e il benessere, e che implementino nuove tecnologie per reinventare il ruolo del supervisore in un ambiente remoto o ibrido.

Enoturismo in Lombardia: è boom in vista delle Olimpiadi

Secondo una ricerca di Giulio De Rita, ricercatore del Censis, svolta in collaborazione con Klaus Davi, la Lombardia occupa attualmente la quinta posizione fra le regioni che esportano vino. Il fenomeno dell’enoturismo, che già in Lombardia attraversa un momento positivo al netto del rallentamento avvenuto durante gli anni della pandemia, potrebbe beneficiare enormemente dell’evento delle Olimpiadi. Sempre secondo De Rita, la forza attrattiva dell’enoturismo in Lombardia può presentare enormi potenzialità, poiché occupa solo la 7° posizione in Italia (3%). Al primo posto si colloca infatti la Toscana (28%), seguita da Piemonte (23%), Veneto (15%), Trentino (8%), Friuli Venezia Giulia (6%), Sicilia e Puglia (5%).

Il sentiment dei turisti è positivo

La ricerca è stata presentata nella sede della Regione Lombardia in presenza dell‘Assessore all’agricoltura Fabio Rolfi e di numerosi produttori tra cui: Conte Vistarino, Edoardo Freddi, Travaglino, Triacca, Uberti.
 “Il Censis non fa previsioni ma registra il presente – commenta De Rita -. Ma salta agli occhi di tutti che il dato dell’attrattività dell’enoturismo in Lombardia è nettamente sottostimato rispetto alle potenzialità che può presentare”.
Chi ha esplorato la Lombardia però ne è rimasto affascinato e coinvolto. L’agenzia di comunicazione d’impresa di Klaus Davi ha analizzato il ‘sentiment’ online di mille turisti, che hanno dimostrato di apprezzare tutto il territorio della Regione, e non solo il capoluogo Milano.

Una Regione ancora un po’ Milano-centrica

La Regione si conferma nel percepito internazionale ancora come un po’ Milano-centrica, complice le numerose fiere e manifestazioni dedicate a settori nevralgici come la Moda e l’Arredo-Design, ma tutte le province lombarde hanno fatto grossi passi avanti nel percepito e nello storytelling internazionale. Ad esempio, Brescia viene identificata per le sue storie industriali, Bergamo per la sua Città Alta, Como per i paesaggi e il lago frequentato dai Vip, Mantova per gli affreschi di Andrea Mantegna, Varese per il Sacro Monte, Cremona per le liuterie e i violini, e Pavia per la Certosa.

I vini e i territori

Quanto più propriamente ai vini, la ricerca ha mappato i territori che vengono associati alle varie tipologie di vino. Per le bollicine spiccano Franciacorta e Oltrepò e per i vini bianchi il Lugana. Per i rossi e bianchi fermi invece, primeggiano l’Oltrepò Pavese, soprattutto il Pinot Nero, mentre per i vini eroici le bottiglie della Valtellina. Promossi poi anche i ristoranti Lombardi, con valutazioni lusinghiere. E non è un caso che gli chef che operano in Lombardia emergano anche all’estero, come ad esempio, Enrico Bartolini, l’unico con 3 stelle Michelin a Milano, oppure Carlo Cracco.

Acquisti online: nel 2022 in Italia valgono 48,1 miliardi di euro

Nel 2022 gli acquisti online in Italia valgono 48,1 miliardi di euro (+20% rispetto al 2021), e l’e-commerce di prodotto continua la sua corsa, pur con un ritmo più contenuto (+8%) rispetto al 2021 (+18% sul 2020), toccando 33,2 miliardi di euro. Gli acquisti online di servizi, invece, portano a termine il proprio percorso di ripresa (+59%) e raggiungono quota 14,9 miliardi di euro. Dopo due anni di crescita l’e-commerce di prodotto è in una fase di evoluzione più strutturata e controllata. Nel 2022 rimane stabile (11%) la penetrazione dell’e-commerce sul totale Retail nei prodotti, mentre aumenta dal 12% al 14% quella nei servizi. Sono alcune evidenze dell’Osservatorio eCommerce B2c della School of Management del Politecnico di Milano e Netcomm, dal titolo eCommerce B2c: verso una crescita sostenibile.

Si riduce lo spazio tra Retail ‘solo fisico’ e ‘solo online’

Si continua inoltre a ridurre progressivamente lo spazio del Retail ‘solo fisico’ e di quello ‘solo online’ a vantaggio di modelli che sappiano coniugare i punti di forza delle diverse alternative. Da una parte, i retailer ripensano il negozio in ottica omnicanale (chioschi digitali in store, punti vendita che svolgono la funzione di magazzino e formule di click&collect), dall’altra le dot com si avvicinano sempre più al mondo offline, sia tramite progetti sperimentali, come pop-up store presenti all’interno di negozi o in nodi strategici delle città, sia attraverso investimenti più strutturati nella rete fisica, come ad esempio, i flagship store.

La revisione dei processi

In un contesto altamente volubile e sfidante come quello attuale, tutti i principali merchant sono al lavoro sull’intera catena del valore (marketing, customer care, pagamenti, logistica, tecnologia) per migliorare i ricavi, ma soprattutto per contenere i costi con obiettivi di breve, medio e lungo termine. Il ripensamento dei processi si traduce nell’implementazione di soluzioni tecnologiche in grado di abilitare un modello di commercio omnicanale. È in atto un processo di trasformazione e integrazione dell’infrastruttura di back-end che coinvolge a 360° le attività di gestione di un’iniziativa e-commerce: dalla raccolta e utilizzo del dato (CDP), fino alla gestione delle informazioni (PIM, DAM) e degli ordini (OMS).

Le aspettative dei merchant non sono rosee

“L’instabilità geopolitica, la crisi della supply chain, così come il ritorno alla piena attività dei negozi fisici, stanno influenzando la dinamica dei consumi in Italia”, commenta Valentina Pontiggia, Direttrice dell’Osservatorio. Non sono infatti rosee le aspettative dei merchant del nostro Paese: circa uno su due ha rivisto le stime a chiusura del conto economico per accogliere modifiche, al ribasso, del proprio fatturato, e al rialzo, delle spese. Già ad aprile 2022, l’88% del campione dichiarava l’incremento dei costi di energia e trasporto, il 65% l’aumento dei costi delle materie prime e l’11% una diminuzione dell’export, soprattutto verso i paesi più coinvolti nelle tensioni socio-politiche.

Imprese: nel 2022 fatturati in crescita, ma marginalità in calo

La ripresa economica registrata nel 2021 ha consentito un importante recupero del fatturato e dei margini delle aziende italiane, seppur con grosse differenze tra i diversi settori. La dinamica inflazionistica continuerà a spingere verso l’alto i fatturati anche nel 2022, previsti al +9% sia rispetto al 2021 sia al 2019. Tuttavia, l’attuale contesto caratterizzato da molteplici tensioni e fattori di incertezza, comporta una revisione al ribasso delle prospettive 2022 sul fronte della marginalità operativa. È prevista infatti in calo sia rispetto al 2021 (-40 bps) sia rispetto al 2019 (-50 bps), prima che la diffusione della pandemia arrivasse a condizionare in modo tanto pesante l’economia globale. Si tratta di alcune evidenze emerse dall’ultimo aggiornamento dell’Osservatorio CRIF Pulse.

Oltre il 40% delle imprese a rischio creditizio

Nel primo semestre 2022 le imprese italiane hanno iniziato a risentire in modo evidente dei fattori di tensione e di incertezza, tanto che oltre il 40% delle imprese si caratterizza per un livello di rischio creditizio prospettico medio-alto. A livello settoriale, risultano maggiormente esposti Turismo, Tempo Libero, Costruzioni e Immobiliare, i comparti che dall’inizio della pandemia avevano subito gli effetti più significativi, e l’Agricoltura, a causa dell’emergenza idrica e del caro energia. Le previsioni per il 2022 vedono da un lato la crescita del fatturato legata alla spinta inflazionistica e dall’altro la riduzione dei margini operativi derivante dall’incremento dei costi energetici e delle materie prime.

“L’equilibrio fonti-impieghi delle aziende italiane resta delicato”

“A livello di impatto finanziario, l’equilibrio fonti-impieghi delle aziende italiane resta delicato – spiega Simone Mirani, General Manager di CRIF Ratings -. La pressione sui margini operativi e il fabbisogno di capitale circolante saranno difficilmente compensabili nel breve termine in termini di capacità di generazione di cassa. Tuttavia, le aziende che hanno effettuato un’adeguata provvista finanziaria nel biennio 2020-2021, anche grazie agli strumenti messi in campo dal governo italiano per contenere la crisi causata dalla pandemia, dispongono di un vitale polmone di liquidità”.

Si accentuano le tensioni sul fronte della liquidità

“Da tenere presente, però, che il venir meno delle moratorie e la conseguente ripresa dei piani di rimborso del debito finanziario, unitamente all’impatto dell’impennata dei costi dell’energia e di alcune materie prime, potranno accentuare le tensioni sul fronte della liquidità, specie nei settori ad alta intensità di capitale circolante e in quelli energivori – aggiunge Simone Mirani -. Il progressivo incremento dei tassi d’interesse nell’attuale contesto potrà inoltre contribuire, specie per le aziende con elevati livelli di indebitamento, ad accrescere ulteriormente il rischio di credito nel medio termine, e il conseguente tasso di default nel biennio 2023-2024”.

L’acqua, alleata del benessere: lo stress si allontana a… sorsi

L’acqua è la più preziosa alleata del nostro benessere, lo sappiamo bene. D’altronde il nostro  organismo è composto per il 70% circa proprio dall’elemento liquido e, quando siamo ben idratanti, tutti i nostri organi e tessuti funzionano al meglio, cervello compreso. Ecco perchè una giusta idratazione è particolarmente importante al ritorno dalle vacanze, quando ci si trova a fare i conti con il ritorno l normale tran tran e ai piccoli problemi quotidiani legati a scuola e lavoro. Proprio così: bere acqua può tenere a bada lo stress. Ma qual è, nello specifico, il legame tra idratazione e stress?

Come tenere sotto controllo l’ormone dello stress

Quando siamo disidratati il nostro corpo produce eccessivi livelli di cortisolo, notoriamente conosciuto come l’ormone dello stress. Assumere la giusta quantità di liquidi, durante tutto l’arco della giornata, aiuterà a mantenere l’organismo correttamente idratato, a tenere sotto controllo i livelli di produzione di questo ormone e ad essere, di conseguenza, meno stressati e affrontare al meglio i problemi di tutti i giorni. Spesso sottovalutata, la corretta idratazione è una preziosa alleata nel mantenimento del nostro equilibrio psico-fisico. I differenti minerali presenti nell’acqua aiutano a conciliare il sonno e a combattere la fatica e lo stress accumulato nell’arco della giornata. Il giusto apporto di sodio e magnesio contribuisce a rispondere in maniera efficace alla pressione giornaliera a cui siamo  sottoposti: lo rivelano degli studi scientifici recenti.

Interrompere il circolo vizioso con otto bicchieri al giorno

“Lo stress può causare disidratazione e la disidratazione, a sua volta, può causare stress. Per interrompere questo circolo vizioso, è opportuno assumere nella nostra routine quotidiana il giusto quantitativo d’acqua, all’incirca otto bicchieri, per evitare i sintomi tipici della disidratazione come l’aumento della frequenza cardiaca, nausea, affaticamento e forti mal di testa” spiega all’Adnkronos il Professor Alessandro Zanasi, esperto dell’Osservatorio Sanpellegrino e membro della International Stockholm Water Foundation. Che prosegue: “Un’adeguata idratazione, con l’assunzione di acque a base di minerali quali magnesio e sodio, può aiutarci ad affrontare al meglio lo stress e i suoi effetti sul sistema emotivo e sul nostro corpo, come il calo di energia e di efficienza. Questi minerali sono, infatti, micronutrienti con un ruolo chiave per la regolazione dell’umore e agiscono in maniera significativa nel ridurre i livelli stress”. 

Italiani e competenze digitali, ancora sotto la media europea

Gli italiani hanno competenze digitali allo stesso livello dei “colleghi” europei? Oppure sono più avanti o più indietro? Ancora, esistono delle differenze a livello territoriale tra gli abitanti del Nord, Centro o Sud in merito al know how tecnologico? A queste questioni ha cercato di rispondere l’analisi realizzata dal Centro studi ImpresaLavoro realizzata su elaborazione di dati Istat, Eurostat e Unioncamere sistema informativo. Le evidenze sono molto interessanti: si scopre ad esempio che in Europa, nel 2021, le persone che possiedono competenze digitali superiori al livello base sono in media il 26%. Sopra la media europea si collocano l’Olanda (52%), la Finlandia (48%), l’Islanda (45%), la Norvegia (43%), l’Irlanda e la Svizzera (40%). Al contrario, i Paesi con il numero minore sono l’Albania (4%), Bosnia ed Erzegovina (5%), Macedonia del Nord e Bulgaria (8%), Montenegro e Romania (9%). L’Italia si colloca ancora sotto la media europea registrando il 23% di individui con competenze digitali superiori al livello base.

Quali sono le skills tech richieste dalle aziende? 

Inutile negare che le competenze digitali siano fondamentali nei processi di trasformazione delle imprese, e naturalmente anche le risorse devono seguire questo trend. Sempre più imprese richiedono ai propri dipendenti, oltre alle skills di base, di possedere competenze digitali elevate. Com’è, a tal proposito, la situazione italiana corrente? A livello regionale, si evince che la percentuale degli individui che possiedono un livello elevato di competenze digitali si raggruppa nel Nord Italia, principalmente in Valle d’Aosta (28,3%), Lombardia (26,6%), Friuli-Venezia Giulia (25,8%), Trentino-Alto Adige (25,7%) ed Emilia-Romagna (25%). Al contrario, si nota un minor numero di individui che detengono competenze digitali elevate in Sicilia (14,4%), Campania (16,6%), Calabria (16,7%), Basilicata (17,8%) e Puglia (18%).

Più preparati i giovani

Un’altra evidenza emersa dall’analisi è che sono le nuove generazioni le più preparate in ambito tecnologico. Le fasce d’età risultano essere un fattore importante: con l’aumento degli anni, infatti, il livello di competenze digitali diminuisce. I giovani tra i 20-24 anni possiedono un livello di competenze avanzato (41,5%) insieme ai ragazzi tra i 16-19 anni (36,2%). Il livello scende fra gli adulti tra i 45-54 anni (20,3%) e tra i 65-74 anni (4,4%). Ci sono delle differenze anche a livello territoriale: nel 2021 si evince che la richiesta da parte delle imprese di competenze digitali e linguaggi e metodi matematici è maggiore al Nord Ovest rispetto al resto del Paese. In Italia sono particolarmente richieste le competenze digitali elevate al Nord Ovest (23,4%), al Centro (21,8%), al Sud e nelle Isole (20%) ed al Nord Est (18,4%).