Black Friday e Cyber Monday, quanti italiani comprano e cosa?

Più o meno l’84% dei nostri connazionali, vale a dire più di 4 persone su 5, fa acquisti durante il Black Friday e il Cyber Monday. Una conferma del successo di queste operazioni, che di anno in anno conquistano una fetta sempre maggiore di fan. I numeri sopra espressi sono l’evidenza emersa dallo studio PwC Black Friday/Cyber Monday Italy 2022 condotto fra il 26 ottobre e 1° novembre 2022 su un campione di 2.025 adulti italiani di età superiore ai 18 anni rappresentativi a livello nazionale. 

Perchè si compra e quali sono i prodotti preferiti?

Il 47% farà acquisti se ritiene che ci sia un’offerta sufficientemente conveniente, mentre solo il 7% dichiara di non essere interessato ad acquistare. Tra gli italiani interessati a fare shopping, quattro su cinque (82%) compreranno oggetti per sé stessi, mentre il 65% acquisterà prodotti per la propria famiglia. Il 41% di italiani acquisterà prodotti tecnologici, capi d’abbigliamento e accessori. Seguono articoli per la casa (21%), prodotti di salute e bellezza (20%) e libri (19%).

Prezzi più alti che in passato?

Nel 2022, gli italiani hanno riscontrato un aumento dei prezzi in tutte le categorie di spesa rispetto all’anno precedente. Il segmento con l’aumento più marcato sono i prodotti alimentari e le bevande (96%), seguito da viaggi e tempo libero (83%), salute e bellezza (83%) e abbigliamento, scarpe e accessori (83%). Per otto italiani su dieci, l’inflazione e l’aumento dei prezzi di energia e alimentari modificheranno i comportamenti d’acquisto. Più di un terzo del campione intervistato dichiara che comprerà solo ciò di cui ha realmente bisogno (35%), il 18% acquisterà prodotti più economici (18%), mentre il 13% farà shopping in negozi con prezzi più convenienti e competitivi (13%). Solo un consumatore su cinque dichiara che acquisterà meno di quanto avrebbe fatto negli anni passati (17%). Il 35% degli italiani è consapevole che le offerte del Black Friday e Cyber Monday saranno meno convenienti a causa dell’aumento dei costi per le aziende. Un italiano su quattro prevede inoltre che alcuni prodotti non saranno disponibili a causa dell’aumento dei costi di approvvigionamento e di possibili interruzioni e ritardi lungo la supply chain.

A quanto ammonta lo scontrino medio?

La ricerca PwC evidenzia che lo scontrino medio degli italiani per gli acquisti durante Black Friday e Cyber Monday ammonterà a 222 euro, in flessione rispetto all’importo medio speso per persona nel 2021, pari a 241 euro. Gli uomini prevedono di spendere più delle donne, con uno scontrino medio pari a 253 euro contro quello femminile pari a 191 euro. Gli italiani pagano preferibilmente con carta di credito (47%), e poi con PayPal (34%) e in contanti (10%).

Competenze e benessere organizzativo nelle aziende

Il contesto congiunturale è complesso, e le ricadute sulla società hanno modificato l’approccio delle aziende italiane verso la definizione di nuovi modelli organizzativi e di lavoro. Tanto che il 61% delle aziende ha introdotto attività di cambiamento, sviluppo o revisione sull’organigramma e i ruoli organizzativi, il 44% è intervenuto sui sistemi informativi, e più di un terzo ha modificato processi, procedure e competenze. Inoltre, un’azienda su due ha concesso lo smart working per migliorare il benessere dei propri dipendenti. 
Sono le evidenze principali emerse durante l’evento Competenze e benessere organizzativo nella pubblica amministrazione e nelle aziende, organizzato da PIESSEPI e Nomisma, in collaborazione con G.I.D.P./H.R.D.A. Gruppo Intersettoriale Direttori del Personale.

Lo scenario evolutivo e l’impatto sulle imprese

“L’attuale andamento congiunturale è connotato da un clima gravato dalle tensioni generate dal conflitto russo-ucraino, con crescenti difficoltà di approvvigionamento di molte materie prime con implicazioni sulle catene di fornitura globali e con una pressione inflazionistica che non si registrava da decenni – commenta Silvia Zucconi, Responsabile Market Intelligence di Nomisma -. In questo scenario deteriorato, le aziende stanno subendo trasversalmente in tutti i settori l’impatto dell’inflazione, trainata soprattutto dal caro-energia, con un aumento della bolletta energetica per le imprese che si attesta a 110 miliardi di euro in più rispetto allo scorso anno”.

Mappatura delle competenze

Tra gli elementi che hanno limitato il raggiungimento degli obiettivi legati al cambiamento, un terzo degli HR indica la scarsa quantità di risorse umane dedicate allo sviluppo delle attività, il 26% ha riscontrato problemi nella comunicazione, e 1 HR su 4 ha percepito difficoltà nello sviluppo dell’organizzazione e nella gestione delle persone. Inoltre, lo scenario che si prospetta ha rimesso al centro l’importanza delle soft skill e della formazione. Quasi la metà delle aziende ha effettuato attività di formazione tecnica negli ultimi 24 mesi, il 42% ha svolto attività di formazione delle soft skill e il 23% ha intrapreso percorsi di coaching individuali. Gli aspetti che hanno limitato lo sviluppo di tali attività sono stati la scarsa quantità di risorse umane dedicate (32%), il budget economico (22%) e lo sviluppo dell’organizzazione e gestione delle persone (20%).

Benessere organizzativo e smart working

Più della metà delle aziende (54%) dichiara di aver concesso lo smart working ai propri dipendenti, il 41% di aver intrapreso iniziative volte alla sicurezza e salute dei dipendenti sul luogo di lavoro, e più di un terzo ha fornito servizi di welfare aziendale ai lavoratori (35%). I principali ostacoli allo smart working per circa un terzo dei responsabili HR sono stati legati alla tipologia di ruolo o mansione (32%), per il 29% alla scarsa capacità del management di gestire i collaboratori, e per il 24% a limitate competenze personali in materia di organizzazione del lavoro. Tuttavia, nel complesso 8 HR manager su 10 sono oggi soddisfatti delle attività avviate negli ultimi 24 mesi per il miglioramento del benessere organizzativo dei dipendenti.

Enoturismo in Lombardia: è boom in vista delle Olimpiadi

Secondo una ricerca di Giulio De Rita, ricercatore del Censis, svolta in collaborazione con Klaus Davi, la Lombardia occupa attualmente la quinta posizione fra le regioni che esportano vino. Il fenomeno dell’enoturismo, che già in Lombardia attraversa un momento positivo al netto del rallentamento avvenuto durante gli anni della pandemia, potrebbe beneficiare enormemente dell’evento delle Olimpiadi. Sempre secondo De Rita, la forza attrattiva dell’enoturismo in Lombardia può presentare enormi potenzialità, poiché occupa solo la 7° posizione in Italia (3%). Al primo posto si colloca infatti la Toscana (28%), seguita da Piemonte (23%), Veneto (15%), Trentino (8%), Friuli Venezia Giulia (6%), Sicilia e Puglia (5%).

Il sentiment dei turisti è positivo

La ricerca è stata presentata nella sede della Regione Lombardia in presenza dell‘Assessore all’agricoltura Fabio Rolfi e di numerosi produttori tra cui: Conte Vistarino, Edoardo Freddi, Travaglino, Triacca, Uberti.
 “Il Censis non fa previsioni ma registra il presente – commenta De Rita -. Ma salta agli occhi di tutti che il dato dell’attrattività dell’enoturismo in Lombardia è nettamente sottostimato rispetto alle potenzialità che può presentare”.
Chi ha esplorato la Lombardia però ne è rimasto affascinato e coinvolto. L’agenzia di comunicazione d’impresa di Klaus Davi ha analizzato il ‘sentiment’ online di mille turisti, che hanno dimostrato di apprezzare tutto il territorio della Regione, e non solo il capoluogo Milano.

Una Regione ancora un po’ Milano-centrica

La Regione si conferma nel percepito internazionale ancora come un po’ Milano-centrica, complice le numerose fiere e manifestazioni dedicate a settori nevralgici come la Moda e l’Arredo-Design, ma tutte le province lombarde hanno fatto grossi passi avanti nel percepito e nello storytelling internazionale. Ad esempio, Brescia viene identificata per le sue storie industriali, Bergamo per la sua Città Alta, Como per i paesaggi e il lago frequentato dai Vip, Mantova per gli affreschi di Andrea Mantegna, Varese per il Sacro Monte, Cremona per le liuterie e i violini, e Pavia per la Certosa.

I vini e i territori

Quanto più propriamente ai vini, la ricerca ha mappato i territori che vengono associati alle varie tipologie di vino. Per le bollicine spiccano Franciacorta e Oltrepò e per i vini bianchi il Lugana. Per i rossi e bianchi fermi invece, primeggiano l’Oltrepò Pavese, soprattutto il Pinot Nero, mentre per i vini eroici le bottiglie della Valtellina. Promossi poi anche i ristoranti Lombardi, con valutazioni lusinghiere. E non è un caso che gli chef che operano in Lombardia emergano anche all’estero, come ad esempio, Enrico Bartolini, l’unico con 3 stelle Michelin a Milano, oppure Carlo Cracco.

Acquisti online: nel 2022 in Italia valgono 48,1 miliardi di euro

Nel 2022 gli acquisti online in Italia valgono 48,1 miliardi di euro (+20% rispetto al 2021), e l’e-commerce di prodotto continua la sua corsa, pur con un ritmo più contenuto (+8%) rispetto al 2021 (+18% sul 2020), toccando 33,2 miliardi di euro. Gli acquisti online di servizi, invece, portano a termine il proprio percorso di ripresa (+59%) e raggiungono quota 14,9 miliardi di euro. Dopo due anni di crescita l’e-commerce di prodotto è in una fase di evoluzione più strutturata e controllata. Nel 2022 rimane stabile (11%) la penetrazione dell’e-commerce sul totale Retail nei prodotti, mentre aumenta dal 12% al 14% quella nei servizi. Sono alcune evidenze dell’Osservatorio eCommerce B2c della School of Management del Politecnico di Milano e Netcomm, dal titolo eCommerce B2c: verso una crescita sostenibile.

Si riduce lo spazio tra Retail ‘solo fisico’ e ‘solo online’

Si continua inoltre a ridurre progressivamente lo spazio del Retail ‘solo fisico’ e di quello ‘solo online’ a vantaggio di modelli che sappiano coniugare i punti di forza delle diverse alternative. Da una parte, i retailer ripensano il negozio in ottica omnicanale (chioschi digitali in store, punti vendita che svolgono la funzione di magazzino e formule di click&collect), dall’altra le dot com si avvicinano sempre più al mondo offline, sia tramite progetti sperimentali, come pop-up store presenti all’interno di negozi o in nodi strategici delle città, sia attraverso investimenti più strutturati nella rete fisica, come ad esempio, i flagship store.

La revisione dei processi

In un contesto altamente volubile e sfidante come quello attuale, tutti i principali merchant sono al lavoro sull’intera catena del valore (marketing, customer care, pagamenti, logistica, tecnologia) per migliorare i ricavi, ma soprattutto per contenere i costi con obiettivi di breve, medio e lungo termine. Il ripensamento dei processi si traduce nell’implementazione di soluzioni tecnologiche in grado di abilitare un modello di commercio omnicanale. È in atto un processo di trasformazione e integrazione dell’infrastruttura di back-end che coinvolge a 360° le attività di gestione di un’iniziativa e-commerce: dalla raccolta e utilizzo del dato (CDP), fino alla gestione delle informazioni (PIM, DAM) e degli ordini (OMS).

Le aspettative dei merchant non sono rosee

“L’instabilità geopolitica, la crisi della supply chain, così come il ritorno alla piena attività dei negozi fisici, stanno influenzando la dinamica dei consumi in Italia”, commenta Valentina Pontiggia, Direttrice dell’Osservatorio. Non sono infatti rosee le aspettative dei merchant del nostro Paese: circa uno su due ha rivisto le stime a chiusura del conto economico per accogliere modifiche, al ribasso, del proprio fatturato, e al rialzo, delle spese. Già ad aprile 2022, l’88% del campione dichiarava l’incremento dei costi di energia e trasporto, il 65% l’aumento dei costi delle materie prime e l’11% una diminuzione dell’export, soprattutto verso i paesi più coinvolti nelle tensioni socio-politiche.

IT verde: una rivoluzione per combattere il cambiamento climatico

Con aziende e governi sottoposti a crescenti pressioni per ridurre le emissioni di carbonio, e con la tecnologia che gioca un ruolo chiave nel raggiungimento di tali obiettivi, i CIO delle aziende si troveranno in prima linea. Sebbene gli obiettivi climatici di molte organizzazioni siano elevati, i responsabili della tecnologia aziendale (CIO, CDIO e CTO), non sono sempre riusciti a trasformare le ambizioni climatiche in realtà. La sfida consisterà nel ridurre l’impronta di carbonio dell’IT fornendo al contempo servizi tecnologici di alta qualità e a basso costo a clienti e dipendenti. I CIO possono scegliere tra un’ampia gamma di risposte: si tratta di misure che implicano strategie di approvvigionamento, metriche chiave e un sistema di gestione delle prestazioni. Ma un’analisi di McKinsey mostra che l’impatto maggiore delle emissioni generate dall’IT si trova in luoghi inaspettati.

La tecnologia aziendale genera emissioni significative

La tecnologia aziendale è responsabile dell’emissione di circa 350-400 megatoni di gas equivalenti di CO2, circa l’1% delle emissioni globali di gas serra (GHG). Il settore industriale che contribuisce con la quota maggiore delle emissioni di gas serra è quello delle comunicazioni, dei media e dei servizi, ma i veri ‘colpevoli’ sono i dispositivi degli utenti finali (laptop, tablet, smartphone e stampanti), che generano da 1,5 a 2,0 volte più carbonio a livello globale rispetto ai data center. Una fonte significativa di queste emissioni sono i semiconduttori che alimentano i dispositivi. Inoltre, i dispositivi vengono sostituiti molto più spesso: gli smartphone, ad esempio, hanno un ciclo di aggiornamento medio di due anni, i laptop quattro e le stampanti cinque. Circa tre quarti delle emissioni, poi, provengono da produzione, trasporto e smaltimento.

Migliorare l’approvvigionamento e usare il cloud

Esistono numerose opzioni a basso costo e ad alto impatto, che non richiederanno alcun investimento e ridurranno i costi. A cominciare da un migliore approvvigionamento, principalmente acquistando meno dispositivi per persona ed estendendo il ciclo di vita di ciascun dispositivo attraverso il riciclaggio. Ulteriori azioni includono l’ottimizzazione dei viaggi di lavoro e delle esigenze di elaborazione dei data center, nonché l’aumento dell’uso del cloud per gestire i carichi di lavoro. Con una migrazione ponderata e un utilizzo ottimizzato del cloud, le aziende potrebbero ridurre le emissioni dai loro data center di oltre il 55%, circa 40 megatoni di CO2 in tutto il mondo.

I CIO devono agire in modo rapido e deciso

Combattere efficacemente il cambiamento climatico non avverrà attraverso una o due grandi vittorie, e per avere un impatto reale le aziende e i governi dovranno agire in molti settori. La tecnologia ha un ruolo enorme da svolgere in molte di queste aree, ma i CIO e i leader tecnologici devono agire in modo rapido e deciso. In media, il completamento delle misure difensive potrebbe richiedere dai tre ai quattro anni. Tuttavia, i CIO che agiscono in modo deciso e preciso possono raggiungere dal 15 al 20% del potenziale di riduzione delle emissioni di carbonio nel primo anno con un investimento minimo.

Aziende: cresce il fabbisogno di competenze green e sostenibili

Lo ha dichiarato Stefano Cuzzilla, presidente di Federmanager e 4Manager: “Per affrontare uno scenario geopolitico e geoeconomico in tumultuoso cambiamento assistiamo a una crescita annuale pari al 5% della domanda di competenze manageriali con green skill sempre più precise”.
Le figure più richieste dalle aziende nell’ultimo anno sono Sustainability Manager, Environmental Manager, Governance Manager, Social Manager ed Energy Manager. Secondo l’Osservatorio 4.Manager, nel quadro degli obiettivi dell’Agenda 2030 più della metà delle grandi e medie imprese cerca infatti professionisti in grado di comprendere i processi aziendali, individuarne i punti deboli, riorganizzare la gestione interna e pianificare la migliore strategia in un’ottica di efficientamento e sostenibilità. 

La strategia di trasformazione di Gmi e Pmi

Il 58% delle grandi e medie imprese (Gmi) e il 40% delle piccole hanno elaborato una strategia di trasformazione di lungo periodo per diventare sostenibili. Le medie e grandi imprese più orientate all’innovazione e alla trasformazione sostenibile sono quelle che negli ultimi tre anni hanno assunto manager (83%), lavoratori con elevate competenze tecniche (87%) e scientifiche (77%), e che hanno incrementato le risorse per la formazione di manager (73%), lavoratori con elevate competenze scientifiche (75%) e tecniche (78%). I principali fattori di attrito alla crescita e allo sviluppo delle imprese sono la difficoltà di reperimento delle competenze sul mercato del lavoro (35%), gli ostacoli di natura normativa o burocratica (31%), e la carenza di competenze manageriali interne (23%).

La transizione ecologica e il PNRR

“L’Italia deve strutturare un piano che analizzi oggettivamente come rispondere alla crescente domanda di approvvigionamento energetico – continua Cuzzilla – contemperando le esigenze di produzione del sistema industriale, e quindi di crescita del Paese, con quelle di sostenibilità ambientale. È questa la transizione ecologica che auspichiamo nel solco del percorso intrapreso dal PNRR e che necessita di precise competenze tecniche, scientifiche e manageriali”.
Negli ultimi dodici mesi, riferisce Adnkronos, sono quindi in forte crescita le qualifiche professionali del Sustainability Manager (il Coordinatore sostenibilità, +46%), e altre figure manageriali della sostenibilità più specialistiche (+38%) o di carattere consulenziale (+25%).

Cercasi professionalità preparate sui temi Esg

Le competenze più richieste riguardano ambiti quali Bilanci (+207%), Responsabilità sociale (+69%), Ambiente, salute, sicurezza (+59%), e Finanza (+42%).  Lo studio rivela poi un’evoluzione del tradizionale paradigma competitivo verso professionalità preparate sui temi Esg (Environmental-Social-Governance), continuamente formate e capaci di rispondere ai fabbisogni delle imprese.
In particolare, aumento del volume di affari e della profittabilità attraverso lo sviluppo di business e sistema reputazionale, aumento delle opportunità finanziarie, quindi di accesso al credito, investimento, fiscalità, e potenziamento strutturale della competitività aziendale e delle relazioni con gli stakeholder.

Imprese: nel 2022 fatturati in crescita, ma marginalità in calo

La ripresa economica registrata nel 2021 ha consentito un importante recupero del fatturato e dei margini delle aziende italiane, seppur con grosse differenze tra i diversi settori. La dinamica inflazionistica continuerà a spingere verso l’alto i fatturati anche nel 2022, previsti al +9% sia rispetto al 2021 sia al 2019. Tuttavia, l’attuale contesto caratterizzato da molteplici tensioni e fattori di incertezza, comporta una revisione al ribasso delle prospettive 2022 sul fronte della marginalità operativa. È prevista infatti in calo sia rispetto al 2021 (-40 bps) sia rispetto al 2019 (-50 bps), prima che la diffusione della pandemia arrivasse a condizionare in modo tanto pesante l’economia globale. Si tratta di alcune evidenze emerse dall’ultimo aggiornamento dell’Osservatorio CRIF Pulse.

Oltre il 40% delle imprese a rischio creditizio

Nel primo semestre 2022 le imprese italiane hanno iniziato a risentire in modo evidente dei fattori di tensione e di incertezza, tanto che oltre il 40% delle imprese si caratterizza per un livello di rischio creditizio prospettico medio-alto. A livello settoriale, risultano maggiormente esposti Turismo, Tempo Libero, Costruzioni e Immobiliare, i comparti che dall’inizio della pandemia avevano subito gli effetti più significativi, e l’Agricoltura, a causa dell’emergenza idrica e del caro energia. Le previsioni per il 2022 vedono da un lato la crescita del fatturato legata alla spinta inflazionistica e dall’altro la riduzione dei margini operativi derivante dall’incremento dei costi energetici e delle materie prime.

“L’equilibrio fonti-impieghi delle aziende italiane resta delicato”

“A livello di impatto finanziario, l’equilibrio fonti-impieghi delle aziende italiane resta delicato – spiega Simone Mirani, General Manager di CRIF Ratings -. La pressione sui margini operativi e il fabbisogno di capitale circolante saranno difficilmente compensabili nel breve termine in termini di capacità di generazione di cassa. Tuttavia, le aziende che hanno effettuato un’adeguata provvista finanziaria nel biennio 2020-2021, anche grazie agli strumenti messi in campo dal governo italiano per contenere la crisi causata dalla pandemia, dispongono di un vitale polmone di liquidità”.

Si accentuano le tensioni sul fronte della liquidità

“Da tenere presente, però, che il venir meno delle moratorie e la conseguente ripresa dei piani di rimborso del debito finanziario, unitamente all’impatto dell’impennata dei costi dell’energia e di alcune materie prime, potranno accentuare le tensioni sul fronte della liquidità, specie nei settori ad alta intensità di capitale circolante e in quelli energivori – aggiunge Simone Mirani -. Il progressivo incremento dei tassi d’interesse nell’attuale contesto potrà inoltre contribuire, specie per le aziende con elevati livelli di indebitamento, ad accrescere ulteriormente il rischio di credito nel medio termine, e il conseguente tasso di default nel biennio 2023-2024”.

L’acqua, alleata del benessere: lo stress si allontana a… sorsi

L’acqua è la più preziosa alleata del nostro benessere, lo sappiamo bene. D’altronde il nostro  organismo è composto per il 70% circa proprio dall’elemento liquido e, quando siamo ben idratanti, tutti i nostri organi e tessuti funzionano al meglio, cervello compreso. Ecco perchè una giusta idratazione è particolarmente importante al ritorno dalle vacanze, quando ci si trova a fare i conti con il ritorno l normale tran tran e ai piccoli problemi quotidiani legati a scuola e lavoro. Proprio così: bere acqua può tenere a bada lo stress. Ma qual è, nello specifico, il legame tra idratazione e stress?

Come tenere sotto controllo l’ormone dello stress

Quando siamo disidratati il nostro corpo produce eccessivi livelli di cortisolo, notoriamente conosciuto come l’ormone dello stress. Assumere la giusta quantità di liquidi, durante tutto l’arco della giornata, aiuterà a mantenere l’organismo correttamente idratato, a tenere sotto controllo i livelli di produzione di questo ormone e ad essere, di conseguenza, meno stressati e affrontare al meglio i problemi di tutti i giorni. Spesso sottovalutata, la corretta idratazione è una preziosa alleata nel mantenimento del nostro equilibrio psico-fisico. I differenti minerali presenti nell’acqua aiutano a conciliare il sonno e a combattere la fatica e lo stress accumulato nell’arco della giornata. Il giusto apporto di sodio e magnesio contribuisce a rispondere in maniera efficace alla pressione giornaliera a cui siamo  sottoposti: lo rivelano degli studi scientifici recenti.

Interrompere il circolo vizioso con otto bicchieri al giorno

“Lo stress può causare disidratazione e la disidratazione, a sua volta, può causare stress. Per interrompere questo circolo vizioso, è opportuno assumere nella nostra routine quotidiana il giusto quantitativo d’acqua, all’incirca otto bicchieri, per evitare i sintomi tipici della disidratazione come l’aumento della frequenza cardiaca, nausea, affaticamento e forti mal di testa” spiega all’Adnkronos il Professor Alessandro Zanasi, esperto dell’Osservatorio Sanpellegrino e membro della International Stockholm Water Foundation. Che prosegue: “Un’adeguata idratazione, con l’assunzione di acque a base di minerali quali magnesio e sodio, può aiutarci ad affrontare al meglio lo stress e i suoi effetti sul sistema emotivo e sul nostro corpo, come il calo di energia e di efficienza. Questi minerali sono, infatti, micronutrienti con un ruolo chiave per la regolazione dell’umore e agiscono in maniera significativa nel ridurre i livelli stress”. 

Cibi e bevande, che stangata: le famiglie spenderanno 9 miliardi in più

“Colpa” dell’effetto scatenato alla guerra in Ucraina e poi dall’aumento dell’inflazione: fatto sta che i prezzi degli alimenti e delle bevande, necessari per la spesa, ha fatto un deciso balzo in avanti. Tanto che gli italiani si vedranno costretti a subire una stangata di 9 miliardi di euro. Lo rivela un’analisi della Coldiretti, sulla base dei dati Istat sui consumi degli italiani e dell’andamento dell’inflazione nei primi sei mesi dell’anno. Una situazione che aumento l’inflazione e con essa l’area dell’indigenza alimentare la cui punta dell’iceberg in Italia sono 2,6 milioni di persone costrette addirittura a chiedere aiuto per mangiare, che sono peraltro in aumento nel 2022 a causa della crisi scatenata dalla guerra in Ucraina con l’aumento dell’inflazione, dei prezzi alimentari e i rincari delle bollette energetiche.

La mappa dei rincari

A guidare la classifica dei rincari c’è la verdura che quest’anno costerà complessivamente alle famiglie dello Stivale 1,97 miliardi in più – sottolinea Coldiretti -, e precede sul podio pane, pasta e riso, con un aggravio di 1,65 miliardi, e carne e salumi, per i quali si stima una spesa superiore di 1,54 miliardi rispetto al 2021. Al quarto posto la frutta – continua Coldiretti -, con 0,92 miliardi, precede latte, formaggi e uova (0,78 miliardi), pesce (0,77 miliardi) e olio, burro e grassi (0,59 miliardi) che è però la categoria che nei primi sei mesi del 2022 ha visto correre maggiormente i prezzi. Seguono con esborsi aggiuntivi più ridotti le categorie “acque minerali, bevande analcoliche e succhi”, “zucchero, confetture, miele, cioccolato e dolci”, “caffè, tè e cacao” e “sale, condimenti e alimenti per bambini”.

Gli aumenti delle importazioni

Un ruolo chiave nella corsa verso l’alto dei prezzi va attribuita all’import. Nel 2022 le importazioni di prodotti agroalimentari dell’estero, dal grano per il pane al mais per l’alimentazione degli animali, sono cresciute in valore di quasi un terzo (+29%), aprendo la strada al rischio di un pericoloso abbassamento degli standard di qualità e di sicurezza alimentare, secondo l’analisi della Coldiretti sulla base dei dati Istat relativi ai primi cinque mesi dell’anno. La situazione è pesante soprattutto sul fronte dei cereali a causa – spiega Coldiretti – dei contraccolpi della crisi globale scatenate dal conflitto in Ucraina con le importazioni di mais che sono aumentate in valore addirittura del 66%, spinte dai rincari e dalle speculazioni, e quelle di grano tenero per il pane sono cresciute della stessa percentuale – sottolinea Coldiretti -, mentre per l’olio di girasole si arriva al +83%. 

Per la Gen Z passare il tempo con gli amici è meglio di avere un hobby 

L’Italia è il primo Paese europeo per percentuale di adolescenti che amano passare il tempo libero in compagnia dei propri amici, con 11 punti in più (67%) della media europea (56%). Gli studenti italiani, inoltre, hanno sofferto maggiormente la mancanza di interazioni sociali durante la pandemia (70%), rispetto ai coetanei degli altri Paesi (60%). In particolare, le ragazze (74%) più dei ragazzi (68%), e tra le fasce d’età, quella degli studenti tra 16-18 anni (76%). Non stupisce, quindi, che gli adolescenti italiani siano i più ‘socievoli’ d’Europa. È quanto rileva l’indagine sull’istruzione condotta dalla piattaforma di e-learning GoStudent in collaborazione con Kantar Market Research.

Anche videogames, Netflix e YouTube 

Un Gen Z italiano su 2 ama trascorrere il proprio tempo libero anche giocando ai videogames (50%) e ascoltando musica (48%). E anche in questo caso, gli adolescenti italiani (79%) sono più appassionati di videogames rispetto ai coetanei stranieri (72%). Netflix, televisione e YouTube riscuotono invece meno successo tra gli adolescenti italiani rispetto ai ragazzi delle altre nazioni. In Italia, guardare video su YouTube (47%) e intrattenersi con Netflix o la televisione (45%) sono rispettivamente al quarto e al quinto posto della classifica delle attività predilette.

Più sport e attività all’aperto, meno bicicletta

All’Italia va anche il primato per numero di giovani che inseriscono lo sport tra gli hobby prediletti: il 45% dei Gen Z italiani trascorre il tempo libero facendo attività sportiva contro il 39% della media europea. I ragazzi (56%) sono inoltre più sportivi delle ragazze (33%), e gli adolescenti tra 16-18 anni più sportivi (47%) rispetto ai 10-12enni (45%) e i 13-15enni (43%). Ma l’Italia (34%) è sul podio anche per le attività all’aria aperta. Le attività outdoor sono più popolari tra i ragazzi (37%) che tra le ragazze (30%), e i pre-adolescenti di 10-12 anni sono quelli che più amano trascorrere il proprio tempo libero all’aria aperta (42%). Andare in bicicletta invece ha riscosso solo il 21% di preferenze in Italia, un dato comunque più alto rispetto al resto d’Europa (18%).

Poco social, ancora meno lettori e artisti

Diversamente da quanto si possa pensare, passare il tempo sui social non è tra gli hobby prediletti della Gen Z, né in Italia né nel resto d’Europa. Con il 32% delle preferenze, i social network sono solo all’ottavo posto della classifica, un dato comunque più basso rispetto al resto d’Europa (36%).
Inoltre, nonostante i ragazzi italiani che amano la lettura siano oltre il 28%, più rispetto ai coetanei europei (26%), leggere non sembra rientrare tra le attività predilette dei Gen Z nostrani: nella classifica degli hobby la lettura è solo in nona posizione. C’è poi un 10%, riporta Adnkronos, che predilige dedicarsi ad attività artistiche, come dipingere o disegnare, mentre suonare uno strumento e ballare hanno riscosso rispettivamente il 10% e il 9% delle preferenze tra gli adolescenti italiani di ambo i sessi.

I consumatori tra crescita dell’inflazione e interruzioni della supply chain 

Tra crescita dell’inflazione e le interruzioni della catena di fornitura gli ultimi due anni hanno messo alla prova la resilienza dei consumatori italiani, che però mostrano di adattarsi ai cambiamenti e di essere propensi a modificare i propri comportamenti d’acquisto. Secondo la Global Consumer Insights Survey di PwC, le incertezze globali e le problematiche della catena di approvvigionamento stanno spingendo molti consumatori a rivolgersi maggiormente ai mercati del proprio circondario, e otto intervistati su dieci esprimono la volontà di pagare un prezzo più alto per prodotti di provenienza locale o nazionale. Inoltre, il 37% valuta la possibilità di rivolgersi a un rivenditore diverso o passare all’acquisto online, mentre il 29% di chi acquista online vuole dare una chance all’acquisto in negozio, e il 40% userebbe siti comparativi per verificare la disponibilità dei prodotti.

Si riducono le spese per i beni di lusso e il tempo libero

Quanto alla crescita dell’inflazione, per i prossimi sei mesi oltre il 75% dei consumatori prevede di mantenere o aumentare gli attuali livelli di spesa, in particolare, nei generi alimentari (47%), ma più di un quarto prevede di ridurre le spese in categorie quali, ad esempio, beni di lusso/premium (37%), ristoranti (34%), arte, cultura e sport (30%) e moda (25%). Nel complesso, l’aumento dei prezzi dei generi alimentari è stato il problema più diffuso, citato da chi acquista in negozio (65%) e online (56%), circostanza che il 57% degli intervistati afferma di aver vissuto quasi sempre o di frequente.

Cambiare stile di vita e abitudini di acquisto

Anche gli intoppi della catena di approvvigionamento influiscono sull’esperienza di acquisto, in particolare, l’impossibilità di acquistare un prodotto a causa dell’esaurimento scorte (online 43%, in negozio 37%). I consumatori citano anche tempi di consegna più lunghi per gli acquisti online (42%) e code più lunghe o negozi affollati (36%). In ogni caso, i consumatori hanno cambiato stile di vita e abitudini di acquisto, e a causa della pandemia il 63% ha già aumentato gli acquisti online, mentre il 42% ha diminuito gli acquisti nei negozi fisici. In prospettiva, il 50% prevede di acquistare di più online, dato più alto tra Millennial (58%), giovani Millennial (57%) e Generazione Z (57%), e più basso tra Baby Boomer (32%) e Generazione X (42%).

Fattori ESG e protezione dei dati influenzano la fiducia nel marchio 

Per circa metà degli intervistati, l’approccio delle aziende ai fattori ESG influenza spesso o sempre la fiducia in quest’ultima e nel suo marchio. Per considerare l’acquisto, l’importanza dei fattori di governance (41%) e sociali (40%) supera quella dell’impegno ambientale dell’impresa (30%).
I fattori ESG pesano di più per la Generazione Z e i giovani Millennial, meno per la Generazione X e i Baby Boomer, mentre i fattori più significativi identificati per promuovere la fiducia del marchio riguardano la sicurezza dei dati e l’esperienza del cliente. La protezione dei dati personali è al primo posto (58%) per l’influenza sulla fiducia nel marchio. Ma ricevono un punteggio alto anche ‘soddisfa sempre le mie aspettative’ (53%) e ‘garantisce un servizio clienti eccezionale’ (52%).

Millenials e Generazione Z: il rapporto con la politica

La Generazione Y o Millenials indica i nati tra il 1981 e la metà degli anni ‘90, mentre la generazione successiva, la Gen Z, raggruppa i nati negli ultimi anni ‘90 fino al 2012. Le due generazioni presentano caratteristiche e peculiarità distintive, ma almeno il 60% di chi ha un’età inferiore ai 35 anni in Italia ha un rapporto distante, distaccato, esterno, e disaffezionato con la politica. Delusione, rabbia, disincanto e indignazione aleggiano tra i giovani italiani, e sono legate al bisogno di una politica che torni a far sognare, che parli dei grandi temi, e alimenti l’idea di un futuro migliore.

I motivi del distacco

I motivi del ‘distacco’ sono rinvenibili nelle diverse opinioni che attraversano l’universo giovanile. L’86% dei Millennials e della Generazione Z è arrabbiato per le differenze sociali presenti nel Paese, il 78% ritiene partiti e politici distanti e disinteressati ai problemi dei giovani, e sempre il 78% afferma che stiamo vivendo in un periodo di grandi ingiustizie e sfruttamento. Il 72% si dice preoccupato per l’eccessivo potere delle multinazionali, mentre il 71% pensa che tutti i politici siano disonesti. Tanto che il 41-43% non sa chi votare, una quota compresa tra il 10% e il 15% non è mai andato a votare da quando è maggiorenne, e un altro 6-8% annulla la scheda.

Rabbia e insoddisfazione anche verso le imprese e la società 

Le critiche dei giovani coinvolgono anche altri settori della società. Per il 71% gli esperti non li comprendono, mentre il 58% afferma di non fidarsi di nessuno. Il 55% vede le banche come nemiche della gente e il 79% accusa gli imprenditori di essere interessati solo ai profitti. Non solo. Il 78% dei giovani ritiene il nostro modello economico iniquo, modellato per avvantaggiare solo ricchi e potenti. Un giudizio che conduce l’82% dei ragazzi a ipotizzare, per i prossimi anni, la crescita dello scontro tra popolo ed élite. Nonostante i giudizi critici, la quota di under35 che giudica il Parlamento un organo superato si ferma al 45%, mentre l’interesse per le proposte populiste coinvolge il 44%, e il 31% ritiene necessari movimenti radicali e rivoluzionari per modificare lo status quo.

Cambiamento climatico, solidarietà e inclusione

Il quadro sul futuro mostra l’altra faccia della medaglia. Il 96% auspica un maggior impegno e sacrifici per tutelare l’ambiente e combattere i cambiamenti climatici. L’85% apprezza politici e movimenti in grado di costruire proposte dal basso, e il 75% vuole sentir parlare di solidarietà, mentre il 67% condanna atti o atteggiamenti discriminatori o razzisti. E se per il 66% è ora di tornare a essere più europeisti, le fratture sociali più avvertite, che dovrebbero essere al centro del programma di un partito, sono più lavoro sicuro e meno precariato (48%), più libertà e meno tasse (39%), più onestà e meno casta (35%), più attenzione all’ambiente e meno profitti (31%), più giovani al potere e meno gerontocrazia (30%).